martedì 26 aprile 2011

Sparks

Che cos'è un'ossessione?
Un'ossessione è un pensiero ricorrente. La vita, la vita degli uomini, consegue nuove e diversificate esperienze; accede ad uniche ed mai provate sensazioni; incontra plurime e sconosciute persone. Un'ossessione è, ciò che nonostante tutto, insegue una persona e da essa è contenuta, sempre; poiché il cielo e non l'anima muta, chi corre per il mare. E' ossessivo ciò che ritorna, continuamente; torna la mattina, nel letto fragrante degli umori della notte; torna la sera di un invito, la notte di un amore, il giorno di un lavoro, l'attimo di un bacio; torna per lasciarci insoddisfatti, e delusi, e amareggiati e gonfi.
Un'ossessione è ciclica, poiché, quantunque si provi a superarla, alla fine si è di nuovo al punto di partenza.
I grandi uomini sono ossessionati dalle idee, dagli obiettivi e dalle arti; io sono più modestamente destinato ad una donna. Eppure tra chi raggiunge le vette più alte della scienza o della pittura e me non passa molta differenza. La stessa inquietudine ci perseguita; lo stesso senso di insoddisfazione di chi, inadeguato o sentendosi tale, ammette a tratti di non essere in grado di raggiungere l'obiettivo che si è posto. Poi il pensiero ricomincia, e non ci si dà più pace, e si continua all'infinito.
Il ciclo dell'ossessione torna anche per me che, dopo mille e più avventure, cambi di luoghi e di lavori, litigi e incomprensioni, guardo con afflizione i cocci della mia vita che è passata, e frugo tra le macerie dei miei album fotografici alla ricerca di una foto di Giulia.
Persona che mi ha profondamente deluso ma, alla quale non riesco a fare a meno di pensare, in maniera ininterrotta, continua nonostante le distrazioni e, in definitiva, ossessiva.

domenica 24 ottobre 2010

La grande freccia nera del cartellone mi obbliga ad uscire, ad abbandonare il lungo confortevole nastro d'asfalto della tangenziale per un più misero stradone male asfaltato. Ai margini della strada le puttane mi osservano, coi loro vestiti succinti e scollati, coi loro corpi dolci e martoriate, così simili alle ragazze che guardo ballare in discoteca ma più sfortunate. Guardatevi, dolci donne in attesa di un marito depresso; aprite mie muse, le vostre giacche da poco, i vostri jeans attillati e quei top che qualche mano callosa e cresciuta toglierà per qualche minuto per qualche euro. Guardate quest'uomo distrutto e componete liriche e canti; o Veneri compatitemi e piangete per me, e aspettate i vostri clienti, e ripetete loro il solito prezzo, e mostrate loro un pallido seno, invitateli, e fateli vostri.
Forse un giorno ripasserò, ma spero sarà assai tardi.
Non so come si senta un cavaliere che smonti da cavallo, o un soldato che perda la guerra, o un ragazzino deriso dai compagni, o una donna offesa dalle amiche. Ma della mia aria spocchiosa e tronfia non resta più niente; un giorno forse farai una festa e poi sparirai per sempre, e io piangerò per due giorni, e per me e molto strano, perché di solito non piango mai, e non temo nessuno, ma più di tutto il male che il mondo può farmi ho un'innocente paura di perderti.

lunedì 7 giugno 2010

Forse dovrei riprendere la buona abitudine di mettere i titoli ai post.

Maledetta donna, cosa vuoi da me.
Quando ho comprato questo grande terrazzo, con queste grandi tende e questa siepe, che da tanta parte il guardo esclude, non l'ho fatto per le serate come questa, in cui mi siedo con del vino in mano a guardare il cielo cattivo e senza stelle.
Non l'ho fatto per serate come questa, mentre sento da lontano dei ragazzi che improvvisano un concerto. Non l'ho fatto per vedere da quassù le ragazze che ballano attorno al fuoco con le loro gonne da gitane, con i loro capelli lunghi, e gli orecchini e il vino da due soldi. Non l'ho fatto per questo rumore di batteria che arriva da lontano, scatenato e quieto, e così lontano. Neanche l'ho comprato per quelle cene che ogni tanto organizzo, lo sai che cucino così male, e che ho preso l'abitudine di comprare tutto o di far venire qualcuno a cucinare.
Non l'ho fatto per la sigaretta che tengo in mano adesso e che è una luce qualsiasi di questa città che lotta contro il cielo mai sopito.
Quando ho comprato questa terrazza, dolce donna, l'ho fatto solo perché ti ci avrei voluta portare. L'ho fatto solo perché saremmo stati soli e ormai le luci non funzionano più. Nel buio avresti dovuto tenermi la mano. Nel buio avresti sentito anche tu questa canzone lontana e avresti ballato con me. Poi, quasi con sorpresa, ci saremmo baciati. Vuoi sapere a che serve questo terrazzo? Questo terrazzo serve a farci stare insieme. Serve a farci ballare e a farti ridere quando ti pesto i piedi. Serve a farti barcollare quando bevi, serve a me quando ti toccherò il sedere. Serve a noi quando ci avvinghieremo su questa panchina, serve a far scricchiolare queste sedie vecchie e serve a farti correre attorno a queste vele e a questi alberi. Serve a farmi avere paura in mezzo a tutte queste corde dove puoi inciampare. Quando sono accanto a te ho come una certa paura, come se tutto sia fragile e tu, toccandoti, potessi romperti.
Questo terrazzo sarebbe servito ad essere felici quando fa caldo, a stare insieme, e a guardarlo con desiderio e nostalgia d'inverno, quando è ghiacciato e bagnato e freddo, e tu comunque puoi fumare in cucina, se vuoi. Questo terrazzo sarebbe stato solo l'ennesimo palco della nostra felicità. E invece me ne sto qui da solo, col bicchiere e la sigaretta, a guardare ancora una volta questo cielo senza stelle, con i gomiti sulla balaustra, e ti penso.

domenica 30 maggio 2010

Abbasso le tende del mio terrazzo,\ passo e tengo un bicchiere di caffè.\ Il fumo esce fragrante e sale,\ impatta in rivoli sul tessuto delle tende che lo assorbe\ e un po' prosegue.\ Come il sipario del teatro alzo\  lo sguardo su questi miei palazzi,\  sui fuochi d'artificio,\ sul cielo della notte in questa città che non è mai nero\ per quanto si sforzi\ anche alle 4 del mattino una luce fioca brilla sempre, e non ci sono mai le stelle\ mentre adesso che ti penso ritornano\ i tuoi occhi scuri\ profondi come la paura che ho di aprire bocca in tua presenza\ e di dirti ciò che penso\ le mie labbra sempre secche e le parole che non trovo\ e intanto, questi fuochi d'artificio, e questi miei palazzi\ sono come Kutuzov dopo la battaglia\ prima o poi vincerò io
Ci sono Uomini che sono regolari.
Gente che sa esattamente quello che deve fare.
Ci sono persone che riescono a programmare la propria vita e le proprie cose, ad avere piani per tutto, a gestire con esattezza sentimenti e sensazioni, a scrivere meravigliosi calendari di carta per scandire ogni lavoro. Ci sono persone che sanno quello che fanno, che compiono quello che vogliono e, se non hanno qualità, sopperiscono con la forza.
Io, di parte mia, non ho mai avuto questo valore, e la mia sregolatezza non è certo un vanto da bohemienne, ma un limite pesante, e un cruccio di cui chiederò conto a Dio o a chi per lui, un giorno. Non so quale peccato ho compiuto per meritarmelo, ma la mia vita è un grande saliscendi, fatto di corse repentine e di stasi preoccupanti, di giorni che cominciano alle 10 senza un senso e di levate repentine. Ho provato di tutto e non funziona, e mi vergogno, mi vergogno in maniera spaventosa delle mie mancanze, e del tempo sprecato, e dei miei difetti, e dell'impossibilità di compiere le cose. Come un calciatore giovanotto, cui il destino ha dato un piede buono e cui la notte è sempre troppo corta, passo da brillanti affermazioni a cadute spaventose; e su tutto questo, mi percuote la paura di sbagliare, di non incidere, e di passare. Io sono Evaristo Beccalossi, e come la mezzapunta dell'Inter faccio e disfo, mi esalto e cado, e tutto sommato non sono che nessuno.
Tra due giorni si decide la mia vita e tu non ci sei, Giulia. Io mi sento sempre solo e penso, mia cara, che su questo letto non ho mai voluto sesso, anche se ripenso ai giorni lieti in cui eri mia.
Quello che volevo era il tuo affetto.

martedì 11 maggio 2010

Ho comprato un letto così grande, mi sembrano soldi buttati.

lunedì 3 maggio 2010

sei molto bella, amore,
sei molto triste, amore.