giovedì 22 aprile 2010

Una volta delle mie amiche mi hanno chiesto se mi sentissi solo, la mattina, svegliandomi in un grande letto a due piazze.
E' stato allora che ho mentito.
Ho mentito a me stesso e a loro. No, signorine, affatto, non sento affatto la solitudine, al mattino. E' semplicemente la mia vita, signorine. E' solo un letto grande.
Quante palle che vi ho detto, signorine. La verità è che mi uccide avere due cuscini alla propria sinistra, al posto di una persona. Il fodero di cotone fa delle forme strane che nella luce che trafila dalle persiane diventano un corpo sinuoso dalla svelta pelle ambrata, dai lisci capelli castani. Bisogna essere sognatori o disperati per accarezzare un cuscino, ed io lo sono entrambi, e poi mento, mento spudoratamente a tutti, comincio a sorridere e rido di un riso ilare, e la gente sembra amarmi, e la gente mi apprezza.
Che diritto hanno loro di sapere la verità. Che diritto hanno loro di provare la vicinanza, la pietà, l'empatia, il dolore. Che diritto hanno loro di giudicarmi per quello che sono e sto diventando. Nessuno.
Ed è per questo che non sapranno nulla. Che cosa vogliono sapere, la mattina mi sveglio fresco, bellissimo, e sorrido davanti alla spada di una nuova giornata che incombe.

mercoledì 7 aprile 2010

una felpa.

Oggi ho comprato una felpa. 
E' una bella felpa bianca, con una scritta navy cucita sopra. E' di un tessuto soffice e delicato, dolce al tatto e morbido morbido. Mi sembra così stretta che faccio fatica a credere che entri a una persona, che le stia addosso e che la copra, e ti tenga il caldo quando tira vento o quando c'è umido d'estate, in riva al male. Ho comprato una felpa bianca con un cappuccio, un cappuccio per coprire i suoi capelli che vorrei tenere tra le mani, sull'isola di Procida, in una sera qualsiasi d'estate, nel lato meno esposto del paese, appoggiati al muro diroccato che separa la stradina dalla sabbia del mare, colorato dai fichi e dalle lanterne, e dai ragazzini che giocano. Ho comprato la felpa che vorrei stringere mentre ti bacio e stiamo insieme. 
Che cos'è una felpa? Una felpa è un filato di tessuto che qualche povera donna in un Paese del sud del mondo ha operato e messo insieme, che qualche ispirato occidentale ha messo in vendita per il decuplo del prezzo, che qualche pazzo occidentale ha acquistato per regalo o vanteria. Ma la mia felpa è un sorriso. La mia felpa non è di tessuto. La mia felpa è il sorriso che farà quando avrò deciso di portargliela, con un grosso fiocco sopra, ed il biglietto:
"Ho scritto le migliori parole del mondo, ma tu non daresti loro il giusto peso. Aspetterò finchè tu possa fidarti di me e capire ciò che dico.".
Per comprare la mia felpa ci sono volute tre banconote stampate da un Paese, 6mila chilometri di volo, due taxi, un litigio col tassista, una strada sbagliata, un'informazione alla commessa, una rassicurazione di una tipa che passava di là e alla quale ho chiesto aiuto, una busta di carta e dei sorrisi di di circostanza di chi me l'ha venduta. A che serve sbracciarsi, distruggersi e stancarsi, girare il mondo e ritornare se tutto questo non ha senso? Che motivo ho a chiamarti se sei all'antipode e io all'antipode. Se sono in aereo e tu a letto. Se sono solo e tu no. 
A che serve presentarsi con un regalo se tutto questo mi pare inutile. A cosa occorre, se già so che non sarai con me, un giorno. 

stretta è la via

C'è un posto vicino casa tua che si chiama via Ajaccio. Forse neanche lo sai che si chiama così, perchè è un luogo perfettamente anonimo e dimenticabile. Lungamente trascino i miei passi sconsolati su questa via, schivando le rare vetrine, il ristorante, e i cancelli, i portoni. E' in questo luogo, un luogo tranquillo, fatto di case eleganti e di una naturale inclinazione al silenzio e alla riservatezza, che io vorrei abitare. Vorrei che fossi qui perché potrei venire a trovarti a piedi. Mi presenterei con una giacca sgualcita e qualcosa in mano, un fiore stupido o qualcosa da mangiare. D'inverno busserei alla tua porta, e una volta aperto, ti mostrerei una barretta di cioccolato e potrei dirti "ciao, ho trovato questa per strada, mentre venivo qui".
Tu mi guarderesti con un riso indulgente e, datomi del cretino, mi lasceresti entrare.
Vorrei abitare a via Ajaccio per farmi una mia vita di piccole cose, una vita nella quale puoi esserci tu e sembrare meno distante. Ti aiuterei a portare le casse d'acqua quando fai la spesa. Insieme ce ne andremmo a braccetto tra questi palazzi, questi monumenti di colore e anonimato, questi palazzetti eleganti e borghesi, belli e così scomodi da abitare, con le loro mura spesse e con i loro conti della manutenzione sempre così elevati. In primavera potresti uscire per la prima volta con le spalle scoperte, e io ti darei sempre la mia maglia al primo fresco. Faremmo discorsi banali sul tempo che cambia e sul tempo che passa, e ogni tanto ne diremmo qualcuna di politica, o parleremmo di libri. Berremo di sicuro tanto vino, anche perchè il bianco ti piace molto.
Avrei un balconcino che dà sul cortile interno. La sera ci appoggeremmo alla balaustra mentre fumi una sigaretta, e cingerei la tua vita stretta e veloce, pensando alla gioia e al piacere e alla passione e a tutte le altre cose quando ti bacio una guancia. Hai il vezzo del rossetto, poco prima di avvicinarti. E' di un colore neutro che sta così bene con la tua pelle.
Tutto questo penso spesso, mentre passo per questa via ora cupa e dimessa, giochicchiando con le chiavi per cercare la mia macchina. Un'altra sera volge al termine e, mestamente, mi allontano da questi luoghi. L'autoradio mi sussurra qualcosa, mentre imbocco l'autostrada. Se solo si trattasse di una casa, penso che lavorerei di più per affittarne una. Credo che la situazione sia in realtà leggermente più complicata.